Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
140 | capitolo diciottesimo |
si precipitò innanzi furiosamente, cercando di stringere l’avversario fra le poderose zampe e di soffocarlo.
Fedoro, che si teneva a pochi passi dall’amico, fu pronto a puntare il fucile ed a scaricarlo.
La palla fracassò la mascella destra dell’animale e penetrò nel cervello.
— Morto! — gridò Rokoff, vedendolo cadere.
— Fulminato, — rispose Fedoro, lieto del suo colpo.
Il povero melaneco aveva avuto appena il tempo di voltarsi su un fianco, rimanendo subito immobile.
— Ecco gli zamponi pel capitano, — disse Rokoff. — Non credevo che avessimo tanta fortuna.
— Quell’uomo deve essere uno stregone, — disse Fedoro. — Ci aveva promesso un orso e ce lo ha fatto subito trovare.
— Che sia venuto ancora qui a cacciare questi animali? Che cosa ne dici, Fedoro?
— Non so che cosa risponderti, amico Rokoff. Posso solamente dirti che quell’uomo diventa ogni giorno più straordinario. Prima pareva che non fosse mai venuto in Cina, ora conosce il deserto a menadito, sa che vi sono delle trote squisite nei laghi del Caracorum e degli orsi sulle sue rive, come se avesse soggiornato a lungo in questi paraggi. Domani ci dirà forse che in mezzo a queste macchie ha confezionato dei pasticci di carne di cigno o che ha fumato la pipa coi Chalkas. Io non capisco più nulla.
— Ed io capisco meno di te, Fedoro — rispose Rokoff.
— Scommetterei che quando attraverseremo il Tibet, troverà degli amici fra i Lama.
— Che abbia già fatto il giro del mondo con il suo Sparviero?
— Non mi stupirei, Rokoff.
— Lasciamo il capitano e occupiamoci del nostro orso.
— Portiamolo all’accampamento, intero. Non pesa molto, forse cento chilogrammi.
— Costruiamo una barella?
— Sì, Rokoff; faticheremo meno. —
Tagliarono alcuni rami di pino e di betulla, intrecciandoli alla meglio e legandoli colle loro fasce di lana, caricarono il melaneco e si diressero verso l’accampamento costeggiando il lago, onde non smarrirsi fra le macchie che diventavano sempre più fitte.
Quando vi giunsero, non trovarono che il macchinista, il quale lavorava febbrilmente a riparare la disgraziata ala.