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i misteri del capitano 151


— Abbiamo dormito trentasei ore, — disse Fedoro. — Colla velocità che sviluppano le macchine dello Sparviero, la cosa non mi sembra affatto straordinaria.

— Briccone d’un liquore! — esclamò Rokoff, ridendo. — Ce l’ha fatta bella!

— Più che il liquore, il narcotico che il capitano vi aveva messo dentro, — disse Fedoro.

— Quell’uomo dunque sarà un amico del comandante.

— Certo.

— Fuggito da Kiachta e rifugiatosi a Maimacin.

— Sì, Rokoff, deve essere così.

— E come l’avrà saputo il capitano?

— Ecco quello che noi non sapremo mai.

— Altro che le famose trote del Caracorum!

— Una scusa per salire verso il nord, senza metterci in sospetto.

— Avrebbe potuto dircelo liberamente. Io non avrei avuto nulla a che dire, anche nella mia qualità d’ufficiale dei cosacchi.

— E nemmeno io, Rokoff.

— Bel tipo quel capitano!...

— Un uomo incomprensibile.

— Ma gentile, Fedoro, quantunque un po’ originale.

— Che ci terrà buona compagnia. Buona notte, amico; me ne torno alla mia cabina. —

E si separarono, lieti di aver delucidato, se non interamente, almeno parte di quel mistero.

L’indomani, dopo la colazione, lo Sparviero lasciava quel gruppo di rocce, riprendendo la sua corsa attraverso il deserto.

Deserto veramente non si poteva più chiamare, perchè le sabbie rapidamente scomparivano, lasciando il posto a distese considerevoli di pini, di betulle e di erbe altissime in mezzo alle quali saltellavano legioni di lepri.

Verso l’ovest invece si delineava la imponente catena dei Tian-Scian, una delle più considerevoli dell’Asia centrale e che divide la Dzungaria dal bacino del Tarim e da cui scendono numerosi fiumi.

Qualche accampamento di mongoli, formato di tende di feltro di colore oscuro, si cominciava a distinguere verso gli ultimi contrafforti della catena e anche qualche carovana di cammelli sulla strada che va da Pigion a Chami.

— Scendiamo verso la Mongolìa meridionale, — disse il