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154 capitolo diciannovesimo


— Che sia vero che talvolta le aquile osano rapire perfino delle persone! — chiese Rokoff.

— Degli adulti no, ma dei ragazzi sì, — rispose il capitano. — Questi volatili posseggono una forza muscolare incredibile e veramente prodigiosa. Non si trovano imbarazzati a rapire dei montoni e dei camosci che poi portano nel loro nido per divorarseli con maggior comodità.

— E anche dei fanciulli?

— Nella Scozia, per esempio, dove le aquile sono molto numerose, ogni anno ne rapiscono e anche qui nel deserto. Le madri mongole hanno anzi tanta paura che non osano lasciare soli i loro bambini e se li tengono sempre presso, quando s’accorgono della presenza di qualche aquila.

— Signore, tornano — disse il macchinista.

— Ancora? Sono cariche le vostre armi? — chiese il capitano.

— Sì — risposero il russo e il cosacco.

— Mirate le ali. —

Le aquile si erano riunite in gruppo e tornavano ad abbassarsi. Questa volta pareva che avessero preso di mira i piani inclinati, la cui seta, che luccicava ai raggi del sole, doveva aver attirata maggiormente la loro attenzione.

Calavano con furia, tenendo le ali aperte e le zampe allungate, con un gridìo assordante.

— Sono a buon tiro! — gridò il capitano.

I cinque aeronauti, perchè anche il macchinista si era armato abbandonando per un momento il timone, fecero due scariche l’una dietro l’altra in mezzo al gruppo.

Fu una vera strage. Cinque su nove, caddero moribonde, volteggiando e starnazzando le ali, mentre le altre fuggivano rapidamente, verso gli altissimi picchi dei Tian-Scian.

— Che batosta! — esclamò Rokoff. — Capitano, se ci abbassassimo a raccogliere i morti?

— Per cosa farne?

— Degli arrosti.

— Che sarebbero più coriacei della carne dei muli vecchi, — rispose il comandante. — Mangiare degli uccelli che hanno forse uno o due secoli di vita! Preferisco i miei pasticci di kanguro.

— È selvaggina signore.

— Che non vale una pipa di tabacco. D’altronde se siete amanti dei selvatici, presto ne troveremo in abbondanza. Il