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158 capitolo ventesimo

nista alcune bottiglie di whisky e dei pasticci, acquistati chissà quanti mesi prima in America o in Australia, ma che il freddo intenso della ghiacciaia aveva mirabilmente conservati.

Il monaco non solo aveva assalito ingordamente i pasticci, ma si era attaccato anche alle bottiglie, tracannandone il contenuto con un’avidità da vero selvaggio.

Alla seconda era già tanto commosso che grosse lacrime bagnavano il suo faccione da luna piena.

Si era messo a raccontare le sue sventure. Da sette anni, nonostante tutta la sua buona volontà e la sua ambizione, era sempre rimasto un umile mandiki, mentre aveva sognato di poter diventare un giorno un potentissimo Lama, ossia capo della religione. Eppure aveva preso parte a tutte le feste religiose, aveva mangiato e bevuto a crepapelle per acquistare quella rotondità necessaria per far buona figura, rovinando una mezza dozzina di tribù di pastori, alle quali aveva divorato, a poco a poco, perfino l’ultimo agnello.

Ormai non contava più che sopra un avvenimento straordinario per diventare almeno ghetzull se non hellung.

— Voi soli potreste darmene il mezzo, — disse finalmente, quand’ebbe vuotata la terza bottiglia.

— E in quale modo? — chiese il capitano, che rideva fino alle lagrime delle comiche sventure dell’obeso Calmucco.

— Facendomi scendere dal cielo.

— Non vi comprendo.

— Prendetemi con voi, sulla vostra bestia e conducetemi a Turfan. Vedendomi scendere dalle nuvole, io acquisterò una tale fama, che i miei confratelli non esiteranno più a passarmi di grado. Un uomo che vola? Un uomo che è in relazione colla luna! Figuratevi che successo!

— Ah! Briccone! — esclamò Rokoff, a cui Fedoro aveva tradotte le parole del Calmucco. — È più furbo di tutti! Se io fossi voi, capitano, lo accontenterei. L’avventura sarebbe buffa.

— Volete che andiamo a vedere la festa delle lampade? — chiese il comandante, che non riusciva a frenare il riso.

— Andiamoci, signore, — disse Fedoro. — Sotto la protezione d’un monaco nulla avremo a temere.

— E il seguito? — chiese Rokoff.

— Se ne andrà a Turfan per suo conto, — rispose il capitano.

Il progetto fu comunicato al monaco, il quale per la gioia si mise a piangere come una vite appena potata.