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248 capitolo ventottesimo

in quando, sotto quelle pressioni, delle boccate d’acqua. Finalmente anche i suoi occhi si aprirono.

— Dove... sono... io? — chiese con voce debole. — Rokoff... capitano...

— Eccomi, sono presso di te, — rispose il cosacco, coprendogli il petto.

— Tu... amico... Rokoff... che cos’è accaduto?

— Una catastrofe, un accidente, non lo so nemmeno io. Siamo stati scaraventati entrambi nel lago, forse dalla folgore e ti ho trovato per puro caso, nel momento in cui stavi per andare a tenere compagnia ai pesci.

— Ah! Sì... mi ricordo... quella luce... quel rombo... poi le onde... E mi hai salvato?

— Ti ho portato qui.

— E il capitano?

— Non ne so più nulla.

— E lo Sparviero?

— Scomparso, forse caduto nel lago, fracassato dalla folgore o dallo scoppio dei serbatoi d’aria liquida o della macchina.

— No... no!... — esclamò Fedoro. — No caduto.

— Come lo sai tu? — chiese Rokoff sorpreso.

— Quando le onde mi hanno portato a galla, io l’ho veduto... sì... me lo ricordo... il vento lo trascinava verso il nord... rapidamente...

— Non è scoppiato?

— No, Rokoff.

— Quanto mi sarebbe rincresciuto che quel meraviglioso treno-aereo fosse stato annientato e che quel valoroso capitano fosse stato ucciso. Sei certo d’averlo veduto fuggire, Fedoro?

— Sì, Rokoff, il vento lo travolgeva.

— E non bruciava?

— No.

— Allora non sono i suoi serbatoi che sono saltati?

— È stata la folgore che è piombata sul ponte e che ci ha precipitati nel lago.

— Ah! Respiro!... — esclamò il cosacco. — Allora lo rivedremo tornare dopo cessato l’uragano.

— Ma noi dove ci troviamo?

— Presso un monastero o una fortezza.

— Non facciamoci scoprire, Rokoff, — disse Fedoro. — Rimaniamo nascosti fino al ritorno dello Sparviero. Il capitano verrà a raccoglierci, ne sono certo.