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26 capitolo terzo


— Andiamo da Sing-Sing, — disse Rokoff. — A più tardi le spiegazioni. —

Preceduti dal maggiordomo, il quale pareva inebetito, entrarono nella stanza del ricco cinese, che era guardata da quattro servi.

Sing-Sing giaceva sul letto, cogli occhi sbarrati esprimenti un terrore impossibile a descriversi, colle labbra aperte e lorde d’una schiuma sanguigna, colle braccia penzolanti.

Una macchia di sangue si era allargata sopra la ricca casacca in direzione del cuore e altro sangue si vedeva sulle lenzuola di seta bianca.

— Morto! — esclamò Rokoff, indietreggiando.

Fedoro si curvò sull’assassinato, aprì la casacca, strappò la camicia e mise allo scoperto il petto.

Una ferita, che pareva prodotta da un pugnale triangolare, a margini taglienti, si vedeva dal lato sinistro, un po’ sotto la mammella.

Il colpo, vibrato da una mano robusta e sicura, doveva aver spaccato il cuore del povero cinese e la morte era stata certo fulminante.

— I miserabili hanno mantenuto la parola! — esclamò. — E da dove sono entrati? Rokoff, non eri appoggiato contro la porta tu?

— Sì, — rispose il giovine.

— Non l’hai udita aprirsi?

— No, almeno fino a che ero sveglio.

— Ah! Sì, mi ricordo che un sonno irresistibile mi aveva preso. Anche tu, Rokoff?

— Sì, Fedoro, ma prima di chiudere gli occhi ho veduto un lembo della parete aprirsi ed entrare degli uomini.

— E non hai fatto fuoco?

— Mi è mancato il tempo; un momento dopo cadevo addormentato.

— Allora ci hanno dato qualche narcotico per ridurci all’impotenza!

— E chi? Io non avevo bevuto nulla dopo il banchetto, — disse Rokoff.

— Prima di addormentarti non hai notato alcun che di straordinario?

— Assolutamente nulla.

— Non hai avvertito alcun odore?