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300 | capitolo trentaduesimo |
— Grazie... —
Aveva il sangue al naso e anche agli orecchi in causa dell’estrema rarefazione dell’aria. Lo si dovette portare sullo Sparviero, perchè non si reggeva più.
Rokoff invece, appena liberato, si era messo a correre verso l’estremità opposta del piccolo altipiano, coi pugni chiusi, gli occhi scintillanti d’ira.
— Signor Rokoff! — gridò il capitano. — Dove correte? Siete impazzito? —
Il cosacco pareva che non lo udisse nemmeno e che non provasse lo stordimento che s’impadroniva sempre più dei suoi compagni.
Quando giunse sul margine estremo, un urlo selvaggio gli sfuggì dalle labbra.
— Eccoli! Cane d’un lama, avrò la tua pelle! —
Il capitano lo aveva raggiunto.
— Venite... lo Sparviero ci attende... è pericoloso fermarci quassù... la rarefazione...
— Guardateli! — gridò Rokoff, furioso. — Scendono la montagna.
— Ma chi?
— I buddisti... i monaci... gli assassini... —
Il capitano guardò abbasso. Sotto di lui, sei o settecento metri più giù, una lunga fila di persone, composta di monaci e di montanari, scendeva i fianchi della montagna, fermandosi di quando in quando per guardare verso la cima. Erano almeno tre o quattro mila persone e buona parte di esse armate di moschettoni e di lance.
— Eccoli quelli che volevano fare delle nostre ossa delle pillole da dare da mangiare ai cani, — disse Rokoff.
— Lasciate che vadano ad appiccarsi altrove, — rispose il capitano.
— Promettetemi di passarvi sopra.
— Sì, ma fuori di portata dei loro fucili.
— Andiamo allo Sparviero. —
Ripresero la corsa e raggiunsero il fuso, dove il macchinista stava facendo sorseggiare a Fedoro un bicchiere di vecchio ginepro, per rimetterlo un po’ dalle emozioni provate e per riscaldarlo.
— Partiamo, — disse il capitano! — Non è prudente fermarsi troppo a simili altezze. —
Si erano imbarcati tutti.