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324 capitolo trentacinquesimo


In confronto al vicino Bengala, così ricco di opulenti città e poco popolato, è ancora mezzo selvaggio, essendo i suoi abitanti piuttosto birmani e kaltani, anzichè indiani; dediti per lo più all’agricoltura e alle armi che ai commerci. Nondimeno si contano non pochi centri popolosi e alcune città notevoli per la bellezza dei loro palagi, abitati un tempo dai re assamesi.

Lo Sparviero, verso le due pomeridiane, varcava già la frontiera, entrando nell’Assam pel passo di Rangeah, ritrovando qualche ora dopo il Brahmaputra, il gigantesco fiume che gli aeronauti avevano già attraversato nel Tibet e che dovevano seguire per qualche tempo.

In quel luogo il paese appariva quasi deserto, non essendovi che pochissimi villaggi nell’Assam occidentale e una sola città d’importanza: Goalpara.

Alla sera anche l’Assam era stato attraversato e lo Sparviero, lasciato le sterili pianure che aveva seguito fino allora, entrava nel Bengala passando sopra la piccola borgata di Afgeav. Invece però di procedere direttamente verso il sud, il capitano aveva ordinato al macchinista di portarsi verso l’est, come se avesse voluto raggiungere i monti di Tipperah, che dividono il Bengala orientale dalla Birmania.

— Perchè cambiate rotta? — chiese Rokoff, sorpreso.

— Vi è una città da evitare, che è abitata da troppi inglesi: Canilab, — rispose il capitano.

— È già notte.

— Potrebbero scorgerci egualmente, essendo prossima l’alzata della luna.

— E dove andremo noi?

— Lo saprete presto.

— Su quei monti che si delineano laggiù?

— L’Arracan non è la mia mèta, per ora.

— Allora andiamo verso il mare.

— Sì, signor Rokoff. —

Lo Sparviero affrettava sempre, toccando una velocità di sessanta miglia all’ora, velocità che non aveva mai raggiunto durante la traversata dell’Asia centrale. Si sarebbe detto che il capitano aveva molta premura di raggiungere le acque del golfo.

Qualche motivo doveva averlo, perchè si mostrava di frequente irrequieto, nervoso, e scambiava di quando in quando delle parole collo sconosciuto in una lingua, che nè Rokoff nè Fedoro riuscivano a comprendere.