Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
i condannati | 45 |
— No, costoro — disse precipitosamente, — non ti appartengono! Vattene! —
Vedendolo, anche Fedoro si era afferrato alle canne, gridandogli:
— Canaglia! Mettici subito in libertà! Tu sai che siamo stati condannati senza colpa e che gli assassini sono gli affiliati della Campana d’argento.
— La liberazione non è lontana, — rispose il magistrato. — Abbiate pazienza fino a domani.
— Allora levateci da questa gabbia.
— È impossibile per ora.
— Noi non possiamo resistere a queste atroci scene.
— V’interessate di quei banditi? — chiese il magistrato.
— Non siamo abituati ad assistere a simili torture.
— Manderò via i carnefici.
— E fate dare da mangiare a quei miserabili che muoiono di fame. La vostra giustizia vi disonora.
— Avranno dei cibi, — rispose il magistrato. — I nostri carcerati sono trascurati, questo è vero. —
Con un gesto che non ammetteva replica, fece uscire tutti; poi, rivolgendosi ai due europei, disse:
— Non farete nulla per informare la vostra Ambasciata fino a domani mattina? Solo a questa condizione io vi prometto di lasciarvi tranquilli.
— Avete la nostra parola, — rispose Fedoro.
— Vi farò subito servire il pasto.
— Se non possiamo quasi muoverci?
— Vi ho detto che pel momento non posso liberarvi, perchè la grazia dell’Imperatore non è ancora giunta. Tranquillatevi e abbiate fiducia nella giustizia cinese.
— Che cosa ti ha detto quel miserabile? — chiese Rokoff, quando il magistrato fu lontano.
— Che domani saremo liberi, — rispose Fedoro, raggiante. — Essi hanno avuto paura di qualche denuncia all’Ambasciata. Hanno voluto solamente spaventarci, sperando forse che noi confessassimo il delitto che non abbiamo commesso.
— Ti giuro che non me ne andrò da Pekino senza strangolare qualcuno. Mi prendano poi, se ne saranno capaci.
— E chi?
— Quel furfante di maggiordomo.
— Ti prometto di aiutarti. Egli è stato la sola causa