Pagina:Salgari - I figli dell'aria.djvu/62

Da Wikisource.
50 capitolo sesto


— Vedo delinearsi all’orizzonte delle abitazioni.

— Che sia la borgata?

— Sì, Rokoff; il Pei-Ho deve scorrere dietro di essa, perchè vedo anche delle piante d’alto fusto. La nostra prigionia sta per cessare. —

I cavalli acceleravano la corsa, attraversando la pianura piuttosto arida che si estende intorno all’immensa capitale.

I manciù si erano divisi in due drappelli: uno marciava innanzi al carro; l’altro dietro.

Come se temessero qualche sorpresa, avevano levato i moschetti che fino allora avevano tenuto appesi alla sella e sguainate le scimitarre.

In lontananza si udiva un fragore confuso che pareva aumentasse di momento in momento. Erano urla acute, tocchi di tam-tam e muggiti di conche marine.

Si sarebbe detto che una folla enorme si accalcava intorno alla borgata.

— Che siamo aspettati? — chiese Rokoff.

— Non so, — rispose Fedoro, il quale era diventato pallido.

Si era alzato sulle ginocchia, spingendo lontani gli sguardi.

Di fronte alla borgata, una folla enorme si accalcava su una pianura sabbiosa, agitandosi disordinatamente e urlando a piena gola. Pareva che succedesse qualche straordinario avvenimento.

Quando il carro giunse sul margine della pianura, la folla si squarciò di colpo per lasciare il passo, mentre da ventimila petti usciva quell’urlo terribile che è suonato agli orecchi degli europei come una tromba funebre durante le insurrezioni mongoliche:

Fan-kwei-weilo! Weilo!1.

Fedoro aveva mandato un grido d’orrore.

In mezzo a quel mare di teste rasate aveva veduto ergersi un palco, e su esso, ritto come una statua di bronzo giallo, un uomo di statura quasi gigantesca, che s’appoggiava ad una larga scimitarra.

Era un carnefice in attesa delle sue vittime.

  1. Diavoli di stranieri andate via! Via!