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i figli dell’aria 51

CAPITOLO VII.

I Figli dell’Aria.

La benda era caduta dinanzi agli occhi dei due europei: la doppiezza e l’astuzia della razza mongola ancora una volta avevano vinto.

Le promesse e le gentilezze del magistrato, non avevano avuto che uno scopo solo: quello di addormentare gli europei, cullandoli in una fallace speranza di libertà.

Condannati a morte dai mandarini, onde evitare che potessero in qualche modo informare l’Ambasciata, il miserabile magistrato li aveva indegnamente ingannati, affinchè la giustizia potesse avere il suo corso senza sorprese inaspettate.

Per maggior precauzione, quantunque camuffati da cinesi, quel briccone li aveva tratti lontani dalla capitale, per impedire che nessun europeo potesse intervenire.

Se una tale esecuzione poteva suscitare dei sospetti a Pekino, a Tong non doveva trovare ostacoli.

Il colpo, abilmente preparato, come si vede era riuscito pienamente e fra pochi minuti le teste del cosacco e del russo dovevano, al pari dei delinquenti cinesi, cadere sotto un buon colpo di scimitarra, per venire poi esposte in qualche gabbia appesa su una pubblica piazza.

Rokoff, comprendendo che la sua esistenza stava per finire, era stato preso da un tale eccesso di furore, da temere che demolisse la gabbia e si scagliasse, come una belva feroce, contro la folla urlante.

Il cosacco, sapendosi innocente, non voleva morire senza lotta, nè invendicato.

Spezzato, con uno sforzo supremo, un bambù della gabbia, aveva allungato un braccio tra le traverse, tempestando le zucche pelate del popolaccio che si accalcava intorno al carro.

Erano legnate tremende, che facevano risuonare i crani come tam-tam e che strappavano urla di dolore ai colpiti. Fortunatamente la scorta, occupata ad aprirsi il passo, non aveva tempo d’impedirgli quella manovra pericolosa.

— Cani dannati! — urlava il cosacco, scrollando la gabbia e cacciando il bambù negli occhi dei più vicini. — Prendete! A te zucca fessa! Non avrai più bisogno degli occhiali! Ci volete assassinare! Per le steppe del Don! Non siamo ancora morti. —