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64 | emilio salgari |
— Chi te lo dice?
— Non sei mio padre tu — disse la giovanetta con energia.
Il vecchio principe impallidì, poi arrossì, e parve che per alcuni istanti la sua voce terribile si fosse spenta. Ad un tratto si alzò di scatto, cogli occhi schizzanti dalle orbite, la fronte tempestosamente aggrottata, e tuonò con accento stridulo:
— E chi sei tu infine?... Sei tu che osi discutere i miei voleri?... Tu che ardisci negarmi obbedienza?... Ma sai che, se io non t’avessi accolta nella mia casa, a quest’ora saresti raminga per la Persia e forse morta, uccisa come tutti i tuoi ambiziosi parenti?... Chi sono io adunque per te?... Un padrone, od un tuo schiavo?...
— Ma, signore...
— Basta!... — urlò il vecchio. — Ah! Tu rifiuti?... Ma credi tu, disgraziata, che io vada dallo sciàh a recargli il tuo stolto rifiuto?... Ma non sai adunque che egli è l’uomo più potente della Persia e che con un solo cenno può rovinare la mia casa e confiscare i miei beni?
— Ma io non posso amarlo!... — esclamò Fathima scoppiando in singhiozzi. — Preferisco che tu mi uccida!
Il vecchio principe le si avvicinò, fissando su di lei uno sguardo acuto come la punta di uno spillo.
— Forse che tu ameresti qualcuno?... — le chiese con voce rauca. — Ma chi?... Eh via!... È impossibile: in casa mia non penetra occhio straniero!...
Pure quel sospetto parve che lo scuotesse e si radicasse nel suo animo. S’affacciò alla porta gridando:
— Aliabad!...
Il servo, che lo attendeva al di fuori, rientrò curvandosi umilmente fino a terra.
— Alzati — disse il vecchio con voce brusca. — A te incombe la sorveglianza della mia casa.
— È vero, padrone.
— Nessun uomo è mai entrato qui?...
— Mai, padrone.
— Bada!...
— Te lo giuro, padrone.
— È mai uscita sola Fathima?
— Mai.
— Pensaci prima di rispondere, poichè potrei farti impalare dopo d’aver frustata a sangue la tua vecchia pelle, schiavo maledetto.