Pagina:Salgari - Il tesoro del presidente del Paraguay.djvu/103

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— Dico che possiamo fidarci, — rispose il mastro. — Del resto hanno interesse a rimanere con noi e a trattarci bene, cogli Indiani che scorrazzano la prateria.

— Ma che persone sono? Cosa fanno? Dove vivono?

— Te lo dirò domani, figliuol mio. Approfittiamo per ora di questo istante di tregua per schiacciare un buon sonnellino. Sono tre notti che appena appena chiudiamo un occhio.

— È vero, e se vuoi che te lo dica francamente, mi pare d’avere le ossa tutte rotte.

— Bùttati giù adunque, e chiudi gli occhi.

Gettarono sulle foglie secche una larga corconilla, soffice coperta di manifattura araucana, e vi si stesero sopra dopo d’aver collocato le armi a portata della mano e d’aver aperto due pacchi di cartucce. Pochi istanti dopo, entrambi russavano così sonoramente da far tremare le malferme pareti della capanna.

La notte, malgrado la vicinanza dei feroci pampas, passò tranquillissima. Nessun allarme, nessun colpo di trombone o di fucile venne ad interrompere il sonno dei due marinai.

Non si svegliarono che verso l’alba ai nitriti dei cavalli dei due gauchos, che salutavano i primi raggi dell’astro diurno.

Carramba! — esclamò il mastro stiracchiandosi le braccia e sbadigliando, — ecco una dormita che mi era proprio necessaria per rimettere la mia macchina in completo assetto.

— Ed io ho sognato di dormire su un letto di piume, vecchio mastro, — disse Cardozo, saltando agilmente in piedi. — E i nostri amici sono ancora accampati fuori?

— Non li vedo, nè li odo.

— Speriamo che non siano stati accoppati.

— Non avrebbero risparmiato noi quei signori pampas. Hanno la brutta abitudine di torcere il collo a quanti trovano sul loro cammino, vecchi o giovani, maschi o femmine.

— Odo un tintinnìo di sproni.