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204 emilio salgari

fu richiamata dalla fuga generale degli uccelli acquatici che si trovavano imboscati fra i canneti della riva.

Splendide meropi, con le ali di smeraldo orlate di zaffiro; martin-pescatori con le penne turchine ed aranciate, dai becchi incrociati, dal mantello d’ebano e il corsetto d’argento; e molti pivieri fuggivano in tutte le direzioni, mandando grida di spavento.

— Chi può avere spaventato tutti quei volatili? — chiese Ottone prendendo il fucile.

— Qualche coccodrillo — disse Matteo.

— Non fuggirebbero in quel modo — osservò El-Kabir. — Sanno di non aver nulla da temere da quei sauriani.

— Che siano sbarcati dei negri?

A quella supposizione tutti si erano levati tenendo in mano i fucili. Le canne erano fitte sicchè non si poteva vedere se qualche barca era approdata.

— Non esponetevi — disse El-Kabir, vedendo che Ottone, stava per slanciarsi fra i canneti. — I negri di queste regioni sono arditi e hanno anche delle armi da fuoco. Una palla fa presto a troncare una vita.

— È vero — disse il tedesco. — I vostri connazionali hanno sempre la pessima abitudine di fornire i negri d’armi da fuoco.

— Silenzio! — disse Matteo. — Udite?

Verso la riva si erano alzate delle grida acute e si udivano degli strumenti musicali, dei tam-tam scavati nel tronco d’un albero e delle chiarine.

— Andiamo a vedere — disse Ottone, il quale non poteva più stare fermo. — Il nostro Germania è riparato fra le piante, quindi nulla abbiamo da temere e poi abbiamo dei fucili a retrocarica e le munizioni abbondano.

Si gettarono, dopo alcuni minuti, a raggiungere i canneti.

Arrivati quasi sulle rive del lago, a circa centocinquanta metri, scorsero un gran canotto, scavato nel tronco di un albero, lungo circa sessanta piedi e largo non più di quattro, di forme pesanti e con a poppa un pesante anello di ferro, il quale, presso i battellieri del Tanganika, sostituisce bene o male il timone.