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Un combattimento fra antropofagi. 243

— Chi sono?

— Gli Eimuri.

— Ancora?

— Silenzio se ti preme la vita. —

Il capo ed il ragazzo strapparono al coguaro la punta della freccia, poi il primo mandò un fischio stridente.

Un momento dopo quattro altri indiani armati di gravatane che fino allora dovevano essersi tenuti imboscati nelle vicinanze, si fecero innanzi e si caricarono del coguaro e della scimmia.

Il capo fece il giro dell’albero come se cercasse se vi fosse altra selvaggina da abbattere, ma le scimmie che poco prima si trovarono sulla cima erano ormai scomparse, slanciandosi di pianta in pianta.

Un momento dopo il piccolo drappello tornava a scomparire in mezzo ai cespugli.

Per alcuni istanti si udirono le fronde ad agitarsi, poi ogni rumore cessò e le arà, tranquillizzate, ripresero la loro monotona cantilena mentre i pappagalli cicalavano a piena gola.

— Siamo sfuggiti ad un grave pericolo per puro caso, — disse Alvaro che era ancora pallido. — Se io non m’indugiavo un poco a far fuoco a quest’ora noi avremmo addosso chissà quanti Eimuri.

— Era proprio il capo?

— L’ho riconosciuto subito, ragazzo mio.

— Che ci cerchi o che cacci?

— Cacciare così lontano dal villaggio non mi sembra ammissibile.

— Che cosa facciamo signore?

— Rimanere nascosti qui per ora e questa sera ritornare alla nostra isola. Non mi fido imbarcarmi; gli Eimuri ci potrebbero scorgere.

— Il marinaio aveva ragione a sconsigliarvi, — disse il mozzo.

— I selvaggi non ci hanno ancora presi.

— Ma torneremo a mani vuote.

— Attraverseremo la savana e andremo a cacciare su qualche altra riva. Non sarà già un oceano quel bacino paludoso.

Taci! —

Il silenzio era stato improvvisamente rotto da urla formidabili che aumentavano rapidamente d’intensità, accompagnate da suoni