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172 Capitolo ventiquattresimo

— Io non lo so, ma ormai non ho più alcun dubbio. Per fermarci, onde avere il tempo di giungere nel Dahomey prima di noi, egli ha suggerito a questi negri l’idea di tenderci un agguato nella foresta.

— Doveva adunque essersi accorto della nostra presenza in questa regione.

— Di certo, Antao.

— Il miserabile!... Ma che gambe hanno quei dahomeni?... Ci siamo avanzati a marce forzate, galoppando dall’alba al tramonto ed egli ha potuto giungere qui prima di noi!... Che avesse avuto un cavallo?...

— Lo suppongo.

— E cosa conti di fare ora?... Se quell’uomo giunge nel Dahomey prima di noi, metterà in guardia Kalani e ci troveremo addosso quelle bande sanguinarie.

— Certo, Antao. Se non riusciamo ad acquistare prontamente la libertà, perderemo la vita alle frontiere del Dahomey.

— Ma come faremo a sbarazzarci di queste mignatte?... Noi non siamo in grado di far piovere.

— Cercheremo d’ingannarli.

— In quale modo?

— Lo si vedrà; credo però d’aver una buona idea e se riesco a persuaderli, domani saremo liberi.

— Agisci senza ritardi, Alfredo. —

Il cacciatore si rivolse verso il capo negro che aspettava sempre una risposta e gli disse:

— Odimi, capo. Noi ti accontenteremo e faremo cadere dal cielo tanta pioggia da innaffiare abbondantemente la terra e da farti fare dei raccolti prodigiosi, ma voglio prima sapere una cosa da te.

— Parla, uomo bianco, — disse il negro.

— L’uomo che ti disse che noi sappiamo fabbricare la pioggia, quando è giunto qui?...

— Ieri mattina.

— Montava un cavallo?...

— Sì, ma l’aveva ridotto in condizioni così miserande, che appena giunto morì. Lo abbiamo mangiato ieri sera e ti assicuro che era eccellente.

— Quando è ripartito quell’uomo?...

— Poco prima che i miei guerrieri ti conducessero qui.