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38 Capitolo sesto

che scorreva in un rigagnoletto vicino, le lavò dal sangue che vi si era coagulato intorno, poi le bagnò con acqua mescolata a rhum e finalmente le fasciò, sacrificando la seconda manica della propria camicia.

La giovane negra lo aveva lasciato fare senza emettere un lamento, anzi sorridendo, quantunque dovesse soffrire assai, e quand’ebbe finito, gli disse:

— Grazie, padrone; la mia vita, da te salvata, ormai t’appartiene. —

Asseybo aveva allora terminata la barella composta di rami legati con liane e resa soffice da un alto strato di fresche foglie. La negra vi fu coricata ed Alfredo ed il servo si misero in cammino, preceduti dal portoghese, il quale era troppo stanco per caricarsi di quel peso.

— Camminando possiamo parlare, — disse il cacciatore. — Guadagneremo tempo.

— Cosa vuoi sapere, padrone? — chiese la negra, che lo guardava con due occhi che rilucevano di gioia e di contentezza.

— Dimmi, innanzi a tutto: è potente Kalani?...

— Potentissimo, padrone. È l’anima dannata di Behanzin, il successore di Geletè.

— È stato lui a organizzare la spedizione contro di me?...

— Sì e l’ha anche guidata.

— Lo sospettavo. Sai che ha rapito mio fratello e che mi ha distrutta la fattoria?...

— Sapevo che doveva rapire un fanciullo, se i suoi soldati non riuscivano a prendere te.

— Ah!... Lo sapevi?... — esclamò Alfredo.

— Sì, perché Kalani aveva detto che gli era necessario quel fanciullo.

— Ma per cosa farne di quello sventurato?...

— So che aveva detto a Geletè che i feticci esigevano un ragazzo bianco per essere guardati, minacciando in caso contrario la distruzione del regno e della dinastia.

— E non lo si ucciderà?... — chiese Alfredo, con angoscia.

— No, non crederlo, perché un guardiano dei feticci diventa una persona sacra. —

Il cacciatore respirò liberamente, come gli si fosse levato dal petto un peso enorme.

— Non lo uccideranno? — esclamò. — Tu sei certa?...