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Prigionieri dei selvaggi 267


Mariquita, da vera araucana, non si era arresa senza lotta. Aveva più volte fatto fuoco col suo fucile, finchè presa alle spalle, aveva dovuto cedere e lasciarsi trascinare in una scialuppa.

Ignorando che Alonzo fosse così vicino, e non dubitando che anche Piotre, il signor Lopez e tutti gli altri fossero stati sterminati, perchè aveva udito le fucilate che venivano sparate sulla spiaggia, si era rassegnata al suo triste destino, quantunque quella fine le inspirasse un orrore invincibile. Essere divorata da quegli antropofaghi! Oh! era ben atroce!....

I selvaggi, sbarcati sulla spiaggia, l’avevano subito condotta attraverso i boschi; giungendo al villaggio quasi contemporaneamente a quelli che avevano vinto Piotre.

Un uomo si era avanzato verso il drappello, aveva fatto deporre il palanchino e aveva tolta via la vela, guardando Mariquita.

— Va bene, — disse poi in pessimo spagnuolo.

La giovane, udendo quelle parole aveva aperti gli occhi.

— Tu, — disse riconoscendo in quell’uomo il cacciatore di guanachi. — Anche tu ci hai traditi! —

Il selvaggio alzò le spalle, sorridendo.

— Sono tutti morti gli altri? — chiese Mariquita, singhiozzando.

— Non lo so, — rispose il cacciatore.

Fece un segno. I portatori rialzarono il palanchino e si rimisero in cammino, fermandosi poco dopo dinanzi ad una grande capanna che si ergeva nel centro del villaggio.

Non era una di quelle luride abitazioni usate dai fuegini, veri covili formati di poche fronde e di scorze di albero, che sono insufficienti a riparare dal freddo e anche dalla pioggia.

Era una bella capanna, fatta con tronchi d’albero, col tetto coperto da fasci di vimini ben stretti e con delle aper-