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In mezzo ai ghiacci 115


— Che ne sarà d’Alonzo? Che freddo che regnerà al sud! —

Piotre aggrottò la fronte e alzò invisibilmente le spalle, senza pronunciare parola.

Lasciò un’altra volta la barra e si diresse verso prora, guardando attentamente il banco dall’alto del castello.

Quel masso era veramente gigantesco, perchè doveva avere un mezzo miglio e anche più di superficie ed un’altezza di una quindicina di metri. S’avanzava attraverso lo stretto, spingendo innanzi a sè una quantità enorme di ghiacciuoli i quali ne raddoppiavano il volume.

Era l’avanguardia dei colossali ice-bergs antartici, che durante l’inverno si ammassano talvolta in numero strabocchevole presso l’entrata dello stretto e lungo la Terra del Fuoco, rendendo la navigazione pericolosissima, anche per le navi che fanno il giro del capo Horn. Piotre lo supponeva.

Spinto dal vento, che faceva presa sui margini frastagliati, e anche dalle onde che venivano dall’oceano, il banco correva con notevole velocità, cappeggiando pesantemente e crepitando.

I suoi bordi massicci sfracellavano i ghiacciuoli, con un baccano assordante, sminuzzandoli, polverizzandoli, aprendosi così il passo fra quella moltitudine d’ostacoli.

Essendo in quel luogo il canale assai stretto e non avendo quel banco una direzione costante, la Quiqua poteva venire spinta verso la costa e fracassata.

L’ex ufficiale era però troppo valente marinaio per non evitare quel primo pericolo. Con alcuni comandi brevi e recisi fece contrabbracciare le vele a tribordo, poi, collocatosi al timone, diresse la sua baleniera verso il capo Negro, in modo da passare fra il ghiaccione e la costa, prima che il passo potesse venire chiuso.