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Prigionieri dei selvaggi 261

aveva atterrato, afferrandolo per di dietro e dandogli un pugno sul cranio.

Non rimaneva in piedi che l’erculeo Piotre, il quale pareva che fosse invulnerabile. Il suo vigore terribile, la sua statura, il suo coraggio da leone, s’imponevano a quei cannibali, i quali esitavano a stringerlo troppo da vicino.

Aveva raccolto un altro fucile sfuggito ad un marinaio caduto al suo fianco, col petto attraversato da un colpo di lancia, e continuava a picchiare con crescente furia a destra e a sinistra, cercando di aprirsi il passo fra quell’orda urlante e di porsi in salvo fra i boschi.

I selvaggi invece non aprivano le loro file, anzi le stringevano sempre più e opponevano una resistenza ostinata. Nondimeno il gigante era riuscito ad allontanarsi dalla spiaggia, sperando di raggiungere la base della collina.

Disgraziatamente il terreno era ineguale e tutto cosparso di muschi pregni d’acqua, sui quali i suoi piedi scivolavano.

Nel prendere lo slancio l’equilibrio gli mancò e cadde. Subito una massa d’uomini si gettò su di lui, coprendolo interamente.

L’ercole tentò di scuoterla. Ed infatti la sollevò, poi ricadde, dibattendosi invano. Cinquanta mani lo avevano afferrato cingendolo rapidamente con solide corde che gl’impedirono di continuare quell’impari lotta.

— Uccidetemi! — gridò il disgraziato.

Una voce che aveva già udita ancora, si alzò fra i selvaggi che lo attorniavano.

— Non è ancora tempo. —

Il baleniere alzò il capo guardando i vincitori.

— Lo stregone! — esclamò.

Il traditore si era fatto innanzi, ghignando ferocemente.

— Mi riconosci? — gli chiese.

— Che tu sia maledetto! — gridò Piotre, sputandogli ad-