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Un dramma marittimo 27

sero i due disgraziati che si trovavano rannicchiati sul dorso gigantesco.

Mille domande s’incrociavano.

— Sono morti?

— Sono stati riconosciuti?

— Cileni o argentini?

— Avete trovato la tavoletta di sughero? —

Il vecchio Pardoe aveva risposto queste sole parole:

— Avvertite il signor Dalmanda. —

Poi era balzato a terra, seguito da José, mentre i marinai della Pillan ed i minatori della scialuppa assicuravano con gomene e catene l’enorme balena, per impedire ai marosi di spingerla verso il fondo della baia o di ricondurla al largo.

— Che cosa dobbiamo fare di quei due cadaveri? — chiese un minatore, fermando il baleniere.

— Che nessuno per ora li tocchi, — rispose il vecchio.

— E della balena?

— Tornate alle huaneras e completate il carico della Pillan. Domani vi occuperete di questo mostro.

Vi sono uomini pratici fra voi?

— Sì, Pardoe. Una ventina sono stati balenieri come voi.

— A domani. —

Il vecchio e José si diressero verso una casettina costruita in pietra, ad un solo piano, abitata dal direttore delle huaneras e, senza farsi annunciare, entrarono in una stanzetta, l’unica che serviva ad un tempo da ufficio, da stanza da pranzo e da camera da letto.

Il signor Dalmanda, che pareva non si fosse ancora accorto di nulla, s’alzò dietro il suo scrittoio ingombro di carte coperte di cifre, salutando con un gesto della mano i due sorveglianti.

Il direttore della miniera era un bell’uomo, sulla quaran-