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La fuga 287

il settentrione. Parecchi avevano delle dimensioni enormi, misurando varie centinaia di piedi, sia in lunghezza che in larghezza.

— Signor Piotre, — disse il vecchio Pardoe, — non sarebbe meglio rifugiarsi su uno di quei banchi? Sono solidi, resistono a lungo e salgono tutti verso le coste americane.

Valgono meglio di questi pessimi canotti che un urto può distruggere.

— Approvo la vostra idea, — rispose il baleniere. — Affidiamoci ad uno di quei ghiacci e mettiamo a secco queste scialuppe. Avremo così maggiore probabilità di raggiungere lo Stretto di Magellano.

— Potremo procurarci dei viveri? — chiese il signor Lopez.

— Gli uccelli marini e anche i leoni di mare si posano volentieri sui fianchi di ghiaccio, — rispose Piotre. — Ne troveremo sempre.

— Approfittiamo, — disse Pardoe. — Ecco là un banco che fa per noi. —

Una gigantesca lastra di ghiaccio, che sorreggeva nel mezzo una collinetta, passava in quel momento a due o trecento metri dai canotti. Aveva una circonferenza di un trecento metri ed uno spessore tale da non temere che si dovesse fondere molto presto.

I fuggiaschi, con pochi colpi di pagaia, la raggiunsero e aiutandosi l’un l’altro vi si arrampicarono sopra, non dimenticando di portar su anche i canotti che potevano diventare ancora utilissimi, sia per passare su qualche altro banco, sia per approdare a qualche isola dove rifornirsi di selvaggina.

— Il ghiaccio è spesso, — disse Piotre. — Potrà durare cinque o sei settimane e la corrente lo spinge verso il nord.

— Vi è una cosa che m’inquieta, — disse Pardoe.

— Quale?