Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. I, 1935 – BEIC 1916022.djvu/193

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libro secondo - capitolo i 187


minimo prete, ma soggiongendo che nel concilio nessun ha maggior autoritá, dopo il papa, che il suo principe.

Ad alcuno nel leggere questa relazione potrebbe parere che, essendo di cose e ragioni leggiere, tenesse del superfluo; ma lo scrittore dell’istoria, con senso contrario, ha stimato necessario far sapere da quali minimi rivoletti sia causato un gran lago che occupa Europa; e chi nel registro vedesse quante lettere andarono e venirono prima che quell’apertura fosse conclusa, stupirebbe della stima che se ne faceva e delli suspetti che andavano attorno.

In Italia, poiché si viddero incamminate le cose del concilio con speranza che questa volta si dovesse pur celebrare, li vescovi pensavano al viaggio. 1Il viceré di Napoli entrò in pensiero che non andassero tutti li suoi: voleva mandare quattro nominati da lui col mandato degli altri del Regno, che passano cento. Fece perciò il cappellan maggior del Regno una congregazione de prelati in casa sua, e li intimò che facessero la procura: a che molti s’opposero, dicendo voler andar essi in persona, ché cosí hanno giurato e sono tenuti; e non potendo, esser di ragione che ciascuno, secondo la propria conscienzia, faccia procuratore, e non un solo per tutti. S’alterò il viceré, e di novo ordinò al cappellano maggiore che li chiamasse e li comandasse che facessero la procura, e simil ordine mandò a tutti li governi del Regno. Questo diede pensiero assai al papa e alli legati, non sapendo se venisse dalla fantasia propria del viceré per mostrarsi sufficiente, o per poca intelligenza, o pur se altri glielo facesse fare, e venisse da piú alta radice. E per scoprire l’origine di questo motivo, il papa fece una bolla severa, che nessuno assolutamente potesse comparir per procuratore; quali li legati ritennero appresso di loro segreta e non pubblicarono, come troppo severa, per esser universale a tutti i prelati di cristianitá, eziandio alli lontanissimi e impediti, a’ quali era cosa impossibile da osservare; e ancor per essere rigida, statuendo che incorrano ipso facto in pena di suspensione a divinis e

amministrazione delle chiese, temendo che potesse causar