Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. I, 1935 – BEIC 1916022.djvu/320

Da Wikisource.
314 l'istoria del concilio tridentino


Questa dottrina ad alcuni delli padri non sodisfaceva; perché, quantonque demostrasse chiaro che tutte le opere non sono peccati, non salva però intieramente il libero arbitrio, seguendo per consequenza necessaria che non sará libero al schifar tutti li peccati. Ma dando titolo di buone a queste opere, il Soto si vedeva angustiato a determinare se erano preparatorie alla giustificazione: li pareva il si, considerando la bontá di esse; li pareva di no, attendendo la dottrina di Agostino approvata da san Tomaso e dalli buoni teologi, che il primo principio della salute è dalla vocazione divina. Da queste angustie sfuggí con una distinzione: che erano preparatorie di lontanissimo, non di vicino; quasi che, dando una preparazione di lontano alle forze della natura, non si levi il primo principio alla grazia di Dio.

Li franciscani non solo tal sorte di opere volevano che fossero buone e che preparassero alla giustificazione veramente e propriamente, ma ancora che fossero in un modo proprio meritorie appresso la Maestá divina; perché Scoto, autore della loro dottrina, inventò una sorte di merito, che attribuí alle opere fatte per forza della sola natura, dicendo che de congruo meritano la grazia per certa legge e infallibilmente, e che per sola virtú naturale l’uomo può aver un dolor del peccato, che sia disposizione e merito de congruo per scancellarlo; approbando un vulgato detto delli tempi suoi, che Dio non manca mai a chi fa quello dove le sue forze si estendono. Ed alcuni di quell’ordine, passando questi termini, aggiongevano che se Dio non dasse la grazia a chi fa quello che può secondo le sue forze, sarebbe ingiusto, iniquo, parziale e accettator di persone. Con molto stomaco e indignazione esclamavano che sarebbe grand’assurditá se Dio non facesse differenza da uno che vive naturalmente con onestá ad uno immerso in ogni vizio; e non ci sarebbe ragione perché dasse la grazia piú ad uno che all’altro. Adducevano che san Tomaso anco fosse stato di questa opinione, e che altrimenti dicendo, si metteva l’uomo in desperazione e si faceva negligente a ben operare, e si dava alli perversi modo di scusar le loro male opere e attribuirle al mancamento dell’aiuto divino.