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libro secondo - capitolo ix 409


tenuti resedere nei loro vescovati almeno sei mesi dell’anno, come agli altri vescovi è comandato nella sessione passata.

III. Che inanzi ogni altra cosa si dechiari la residenza de’ prelati esser de iure divino.

IV. Che si dechiarasse la pluralitá delle chiese cattedrali esser abuso grandissimo, e si ammonisse ciascuno, specificando etiam i cardinali, a restar con una sola e lasciar le altre infra certo termine breve, e prima che finisca il concilio.

V. Che si togliesse la pluralitá delle chiese minori con proibirla non solo per l’avvenire, ma ancora per il passato, revocando tutte le dispense concesse, senza eccezione de cardinali o altri, se non per giuste e ragionevoli cause da esser prodotte e provate inanzi l’ordinario.

VI. Che le unioni ad vitam, eziandio le giá fatte, si revocassero tutte, come indottive della pluralitá.

VII. Che ognuno che ha beneficio curato e altri benefici che ricercano residenza, non risedendo, incorra nella privazione, e nessuna dispensazione abbia da suffragare, se non in casi dalla legge permessi.

VIII. Che qualonque ha beneficio curato potesse esser esaminato dal vescovo; e trovato illitterato, vizioso o per altra causa inabile, fosse privato, e il beneficio dato ad un degno per rigoroso esame, e non a volontá degli ordinari.

IX. Che nell’avvenire i benefici curati non si dassero, se non con esamine e inquisizione precedente.

X. Che nessun si promovesse a chiesa cattedrale senza processo, il qual si facesse in partibus, almeno sopra li natali, vita e costumi.

XI. Che nessun vescovo potesse ordinare nella diocesi dell’altro senza licenza dell’ordinario, e persone di quella diocesi solamente.

Li legati si turbarono, non tanto vedendo posti a campo molti articoli, e tutti con mira di ristringere l’autoritá pontificia e aggrandire l’episcopale, quanto per l’importanza del principio di dar in scritto le petizioni e unirsi molti insieme in una dimanda; e senza mostrar qual fosse il pensiero loro,