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146 l'istoria del concilio di trento


ligo te. E con che ragione per esequir quello che Cristo ha detto: quorum retinueritis etc., et quorum ligaveritis etc., non è necessario dir: ligo te; ma per esequir quorum remiseritis, et quæcumque solveritis, è necessario dire: absolvo te?

Similmente era criticata la dottrina inserita nel quinto capo, dove si dice che Cristo con le medesime parole constituí li sacerdoti giudici dei peccati, e però sia necessario confessargli tutti intieramente in specie e singolarmente, insieme con le circonstanze che mutano specie; imperocché chiaramente appar dalle parole di nostro Signore che egli non ha distinto due sorti di peccati, una da rimetter e l’altra da ritenere, che perciò convenga saper de quali il delinquente sia reo, ma una sola che gli comprende tutti. E però non è detto se non peccata in genere; ma bene ha distinto due sorti di peccatori, dicendo quorum e quorum: una de penitenti a’ quali si concede la remissione, l’altra de impenitenti a’ quali si nega. Però piú tosto hanno da conoscere lo stato del delinquente che la natura e il numero de’ peccati. Ma poi quello che si aggionge delle circonstanze che mutano specie si diceva che ogn’uomo da bene poteva con buona conscienzia giurare; che li santi apostoli e loro discepoli, dottissimi delle cose celesti, non curando le sottilitá umane, mai seppero che vi fossero circonstanzie mutanti specie; e forse se Aristotele non avesse introdotta questa speculazione, il mondo a quest’ora ne sarebbe ignaro: e tuttavia se n’è fatto un articolo di fede, necessario alla salute. Ma sí come veniva approvato che absolvo è verbo giudiciale, e riputata buona consequenza che se li sacerdoti assolvono, sono giudici; cosí pareva un’inconstanza il condannar quelli che dicevano esser un ministerio nudo di prononciare, essendo cosa chiara che l’ufficio del giudice non è se non prononciar innocente quello che è tale, e colpevole il transgressore. Ma il far del delinquente giusto, come s’ascrive al sacerdote, non sostiene la metafora del giudice. Fa il principe grazia a’ delinquenti della pena, restituisce alla fama: a questi è piú simile chi fa de empio giusto, e non al giudice, il quale transgredisce il suo ufficio sempre che altro