Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. II, 1935 – BEIC 1916917.djvu/339

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libro sesto - capitolo i 333


nevano che fosse necessario conservare, anzi aumentare ii rigore da lui instituito, volendo conservar la puritá della religione.

Gioanni Tomaso Sanfelicio fu di opinione al tutto contraria: che in concilio si dovesse trattar de’ libri tutto di novo, come se non fosse precedente proibizione; perché quella, come fatta dall’inquisizione di Roma, per il nome è odiosa ad oltramontani, e del resto è anco tanto rigida che è inosservabile, e nessuna cosa manda piú facilmente una legge in dissuetudine quanto l’impossibilitá o gran difficoltá in osservarla e il gran rigore nel punir le transgressioni; esser ben necessario conservar la riputazione di quell’ufficio, ma questo potersi far assai appositamente con non farne menzione; del rimanente facendo le sole provvisioni necessarie, e con pene moderate. E per tanto parerli che il tutto stia nel consultar il modo. E disse egli quello che giudicava ottimo, cioè che li libri sin allora non censurati fossero compartiti alli padri e teologi presenti al concilio, e anco ad altri assenti, quali, esaminatili, facessero la censura; e dalla sinodo fosse deputata una congregazione non molta numerosa, che fosse come giudice tra la censura e il libro: il che parimente fosse servato con li giá censurati; e questo fatto, si proponesse in congregazione generale, per decretare in universale quello che paresse beneficio pubblico. Quanto al citare o no gl’interessati, disse che due sorti di autori erano: altri separati dalla Chiesa, e altri incorporati in essa; delle primi non esser da tener conto, poiché con la sola alienazione dalla Chiesa hanno essi medesimi, come san Paulo dice, condannato se stessi e le opere proprie, sí che non è bisogno piú udir altro. Ma delli incorporati con la Chiesa esserne de morti e de vivi: questi esser necessario citare e ascoltare, né, trattandosi della loro fama e onore, potersi contra le opere loro procedere, se non ascoltate le ragioni loro: delli morti, poiché non vi è l’interesse privato, potersi far quello che ricerca il pubblico bene, senza pericolo di offendere alcuno. A questa opinione fu aggiorno da un altro vescovo che l’istessa forma di giustizia si dovesse usare verso li autori cattolici defonti, perché restano li parenti