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libro sesto - capitolo v 397


Il dí seguente li ambasciatori imperiali, poiché videro d’aver ottenuto, come desideravano, la proposta del calice, per quale sin allora avevano proceduto con riguardo, si presentarono alli legati e, seguendo l’instruzione del suo prencipe, li presentarono venti capi di riforma.

I. Che il sommo pontefice si contentasse d’una giusta riforma di se stesso e della corte romana.

II. Che il numero de’ cardinali, se non si può redur a dodici, almeno si riduca al duplicato con doi soprannumerari, sí che non eccedino ventisei.

III. Che all’avvenire non si concedino piú dispense scandalose.

IV. Che siano revocate le esenzioni contra le leggi comuni, e sottoposti tutti li monasteri alli vescovi.

V. Che sia levata la pluralitá de’ benefici ed erette le scole nelle chiese cattedrali e collegiate, e li uffici ecclesiastici non si possino affittare.

VI. Che li vescovi siano costretti alla residenzia, non esercitino l’ufficio per vicari; e se non sono sufficienti, non si commetta il carico ad un vicario, ma a molte persone, facendosi le visite e le sinodi diocesane ogn’anno.

VII. Che ogni ministerio ecclesiastico sia gratuitamente esercitato, e alla cura di tenue entrata siano incorporati benefici non curati ricchi.

VIII. Che siano ritornati in uso li canoni contro la simonia.

IX. Che le constituzioni ecclesiastiche siano ristrette, resecate le superfluitá, e non uguagliate alle obbligazioni della legge divina.

X. Che non si usi la scomunica, se non per peccato mortale e notoria irregolaritá.

XI. Che i divini uffici siano in maniera celebrati, che siano intesi da chi li dice e da chi li ascolta.

XII. Che li breviari e messali siano corretti, risecate le cose che nella sacra Scrittura non si trovano, e levata la prolissitá.