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libro terzo - capitolo ii 45


le cose sue, ordinò a fra’ Francesco Romeo, generale di San Dominico, che congregati li piú dotti del suo ordine, facesse col loro parere e fatica una gagliarda e soda confutazione. Fu anco in Francia da diversi scritto in contrario, e in breve vi fu uno stuolo di scritture de cattolici e protestanti, massime delle cittá anseatiche, in contrario. E seguí quello che ordinariamente avviene a chi vuol conciliar opinioni contrarie, che le rende ambedue concordi all’oppugnazione della media, e piú ostinati ciascuno nella propria. Fu anco causa di qualche divisione tra li medesimi protestanti; perché quelli che, costretti, avevano ceduto in parte a Cesare e restituite le vecchie ceremonie, si scusavano dicendo che le cose da loro fatte erano indifferenti, e per consequente alla salute non importava piú il reprobarle che il riceverle; e che era lecito, anzi necessario tollerar qualche servitú, quando l’impietá non è congionta; e per tanto in queste doversi obedir a Cesare. E gli altri, che la necessitá non aveva costretto, dicevano esser vero che le cose indifferenti non importavano alla salute, ma che per mezzo delle indifferenti s’introducevano delle perniciose. E passando inanzi formarono una general conclusione, che le ceremonie e riti, quantunque di natura indifferenti, diventano cattivi allora quando chi le usa ha opinione che siano buone o necessarie; e de qua nacquero due sette, che passarono poi ad altre differenze tra loro, e non furono mai ben reconciliate.

Non passavano le cose della religione con minor tumulti in Inghilterra; perché Odoardo conte di Hertford, zio materno del giovane re Edoardo, acquistata autoritá appresso al nepote e li grandi del regno, insieme con Tomaso Crammero arcivescovo di Cantorberi favorendo li protestanti, e introdotti alcuni dottori di loro, e gettato qualche fondamento della dottrina, tra la nobiltá massime, congregati li stati del regno che chiamano il parlamento, per pubblico decreto dal re e da quello fu proibita per tutto il regno la messa; e poco dopo levatasi sedizione populare, che richiedeva la restituzione degli editti di Enrico VIII a favore della vecchia religione, nacque

grandissima confusione e dissensione nel regno.