Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. III, 1935 – BEIC 1917972.djvu/403

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libro ottavo - capitolo xii


cilio viennense gli abusi che s’introducevano, li quali sino a Leone X crescettero in immenso; onde, desiderando la sinodo veder restituita la vecchia consuetudine approvata nella Chiesa, era necessario dechiarar in qual Chiesa e in qual tempo. Ma quelle parole, «che con la troppa facilitá nella concessione delle indulgenzie è snervata la disciplina ecclesiastica», dicevano esser una espressa confessione che non pertengono alla conscienzia, né liberano da cosa alcuna appresso Dio, ma toccano il solo esterno, che è la disciplina ecclesiastica. Della differenzia de’ cibi e delli digiuni dicevano che il commendarli era cosa buona, ma non era deciso quello di che il mondo tanto s’era lamentato, cioè che si pretendesse ubbligazione in conscienzia. I principi però di Germania protestanti di questo concilio non tennero conto alcuno: solo alcuni ministri della confessione augustana, pochi anco in numero, mandarono in pubblico una protestazione, della quale fu fatta poca stima.

Li cattolici ai dogmi del purgatorio e delle indulgenzie non pensavano: solo erano intenti ad impetrare la comunione del calice, il matrimonio de’ preti e relassazione nella moltiplicitá dei precetti de iure positivo intorno a’ digiuni e feste, e altre tal cose. Ai quali per dar sodisfazione, l’imperatore e il duca di Baviera fecero instanzia appresso il pontefice. Scrisse l’imperator lettere alla Santitá sua sotto il 14 febbraro, con dire che durante il concilio s’era affaticato per ottenere la concessione del calice, non per interessi privati né per scropoli di conscienzia che egli avesse, ma perché credette e tuttavia credeva che fosse necessaria per ridur alla Chiesa li sviati. Che tollerò gl’impedimenti allora frapposti per trattarne con li principali prelati e principi dell’Imperio; con quali avendo conferito se fosse ispediente far altra instanzia per la medesima richiesta, essi lodarono che ne trattasse di novo con Sua Santitá. Per il che, raccordandosi quello che li cardinali Morone e Lorena gli avevano fatto dire, e li era confermato dal vescovo di Liesina, noncio per nome di Sua Santitá, non voleva differir piú a dimandarli la grazia, senza replicar piú le gravissime cause che lo costringevano: instando che vogli