Pagina:Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu/113

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lettere di fra paolo sarpi. 105


Da chi procedesse la morte del re, abbastanza il discoprono quelli che ne sentirono allegrezza, che ne lodarono il fatto, come lo avevano altresì prenunziato: e benchè dicasi comunemente e ripetasi, che l’assassino non nominò verun promovitore,1 io tuttavolta credo ciò ch’è ben giusto di credere; vale a dire che il sapessero quelli a cui giovava saperlo. Ma la ragion di Stato non consente che cose tali ora vengano propalate. La curia romana, poi, non condannerà mai la dottrina dei Gesuiti; perocchè in questa è l’arcano del suo impero; sommo e capitalissimo arcano, per cui vengono rimossi quelli che scopertamente osano di non adorarlo, e tenuti in briglia quegli altri i quali oserebbero, se non fossero trattenuti dal timore.

In quanto ai Gesuiti riguarda personalmente, ben disse un tale tra essi, che il gesuita è uomo di tutti i colori: vedi in essi rinnovarsi il fenomeno del camaleonte. Ho letto ciò che scrive il Cotton sopra tale argomento. Lascio stare le inette adulazioni di che l’opuscoletto ribocca; ma tutto il suo dire è un tessuto di equivoci, nè mai palesa il concetto della sua società, se non in guisa da poter travolgere le sue parole sì dall’una come dall’altra parte. Nulla accenna di quelle terribili condizioni: se il re sarà di diversa Religione; se presterà favore a quelli che rigettano la Religione romana; se fosse scomunicato dal papa o privato del regno, o se ad altri verrà


  1. Si vuole che Ravaillac, tra gli spasimi della più atroce ed ultima tortura, sciamasse: — Mio Dio, perdonate il mio fallo; ma non mel perdonate, se ho qualche complice e non voglia scoprirlo! — Il fanatismo individuale è evidente; ma i fanatismi di tal sorta non nascono senza chi siesi adoperato a crearli.