Pagina:Sarpi - Lettere, vol.2, Barbèra, 1863.djvu/378

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370 lettere di fra paolo sarpi.

la protesta del Richer mi è parsa ferma e modesta insieme, e la lodo senza fine. Ho unito la parte della Collezione ultimamente avuta alle altre anteriori, e di ogni cosa le rendo grazie.

Avevo sentito dire del bruciamento del libro dello Scioppio; e non cesso di maravigliarmi che alla baldanza di un tanto imbroglione, il re e cotesto regno non provvedano meglio, che con un fuoco di carta. Un vermiciattolo, adunque, avrà coraggio di sbottonare una tanto infame sentenza contro il padre d’un re vivente e pregiato? Ma non più. Non c’è per anche venuto il libro di Becano; ma l’avremo senza dubbio. Non spero contuttociò di vederci altro che le adulazioni del Bellarmino e degli altri piaggiatori; ma le promesse dai Gesuiti fatte agli autori che s’indirizzano per iscritto al papa, non vanno esenti dai soliti equivoci. Che bisogno v’ha di scrivere al papa? Ha più potenza il generale dei Gesuiti sul Becano e gli altri soci, che cento papi. Nè si dia a credere che il libro venisse fuora senza il consiglio e comandamento del generale; niente si fa o fu fatto da alcuno di loro, che non ottenga il suffragio di tutti.

A questo proposito, la voglio intrattenere con una storiella, che forse le riuscirà nuova. Sa che oggimai hanno messo una famiglia di religiosi a Costantinopoli. A forza di lusinghe e ricompense (come usano), si guadagnarono il patriarca dei Greci, affinchè per suo mezzo fossero ad essi affidate tutte le ingerenze. Per il che tanto sdegno s’accese, non solo nel clero ma anche nel popolo, che non potendo rimediare altrimenti, ricorsero al Pascià, e per via di donativi ottennero che il patriarca fosse deposto.