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lettere di fra paolo sarpi. 421

della bontà e dottrina di lui; che un altro più assoluto non avrei agevolmente saputo pronunziare.1

Conobbi il Barclay per la lettura del Satirico, e di quel libro scritto a favor del padre, che mi ha inviato; ma più mi dette nel genio la sua Apologia. Lo seppi partito per Roma, e ne ignoro fino ad ora il motivo: il tempo lo svelerà. Scuso gli altri eruditi che colà recaronsi; i quali regalati di promesse magnifiche, per l’attrattivo della dignità sperata e il soddisfacimento delle cupidigie, mutarono meno indecorosamente bandiera. Ma questi, legato di matrimonio, non potè agognar nemmeno mezzane fortune: se mirò a vivere con più di libertà nella fede cattolica, avrà conseguito l’intento. È voce che abbia scritto un libercolo intitolato: Character Regis Anglici; ma io


  1. Marcantonio De Dominis era nativo di Arbe, e taluni lo dissero discendente da una famiglia che annoverava tra’ suoi antenati un papa e parecchi illustri prelati. Aveva in realtà studiato in Loreto, in un collegio presieduto dai Gesuiti; quindi nell’Università di Padova. Di spirito inquieto e ambizioso, ebbe vita agitatissima e infelice tra i favori medesimi delle fortuna, de’ quali egli non sapeva contentarsi. Volle tornare in grembo alla fede ortodossa e non fu creduto; talchè dopo la sua morte in Roma nel 1624, si esercitarono sul suo cadavere quegli atti di bestiale crudeltà, che alla sua persona erano riserbati, quand’egli fosse vissuto. Nel 1615 erasi da Spalato ritirato in Venezia; d’onde passò in Germania, e nell’anno in cui dettavasi questa Lettera, era certamente in Inghilterra; dove scrisse e pubblicò il libro, allora sì famigerato: De Republica christiana. Fu egli, che mentre soggiornava alla corte del Re Giacomo, avendo potuto, non si sa come, procurarsi il manoscritto della Storia del Concilio di Trento di Fra Paolo, la diè quivi in luce (1619) senza il consenso dell’autore. Peggio poi, che vi aggiunse una prefazione a suo modo, cioè conforme alle nuove dottrine da lui professate; il che dicono che al Sarpi recasse moltissimo dispiacere. (Griselini, Mem. anedd., pag. 115-16.)