Pagina:Satire (Orazio).djvu/107

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Per altri arava: se contento e pago
Son di quanto possiedo, il gregge e ogni altra
Cosa fa’ pingue a me fuorchè l’ingegno,
20E sommo vegghia egnor su me custode.
Or ch’io mi son dalla città sottratto
In queste rupi, qual farà mia Musa
Primo subbietto a’ suoi pedestri carmi?
Qui non malnata ambizion mi strazia,
25Nè ferreo Noto, nè gravoso Autunno,
Che a Libitina ampio guadagno appresta.
O padre del mattino, o s’altro nome
T’è più gradito, o Giano, onde la gente
(Sì piacque a’ Numi) i suoi lavor comincia,
30Tu da’ principio a’ versi miei. Tu in Roma
A farmi altrui mallevador m’astrigni,
E a tale ufficio m’accalori e sproni,
Perchè in prontezza alcun non mi sorpassi:
E o le terre aquilon devasti e rada,
35O il verno adduca entro più stretto giro
I suoi nevosi giorni, andar conviene.
Poi quando ho fatto in suono aperto e chiaro
Tali proteste che mi fien di danno,
Aprir la folla e urtar m’è d’uopo i tardi,
40Più d’uno irato e brusco a me imprecando