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162 santuario

— Ti ricordi, Giovanni, la mattina in cui ci siamo sposati? La mamma non voleva, il babbo non voleva; facevano tanti discorsi, che non capivo. Io credeva soltanto a te. Che lieta mattina! Mi stringevi la mano, e mi dicevi una parola... Ripetila, te ne scongiuro. La indovino dalla tua bocca. Eravamo in paradiso, seduti l’uno accanto all’altra sotto un baldacchino, in mezzo a un prato fiorito, e le fanciulle e i giovinetti ci venivano intorno a cantare, a suonare, a ballare; ci facevano una riverenza, e noi salivamo nel nostro trono un gradino più in su, poi un altro gradino e un altro gradino ancora: era la scala di Giacobbe. Quando fummo arrivati al più alto di tutti i cieli, mentre ti davo un bacio, una mano di ferro mi buttò giù d’un colpo, e allora precipitai dalle nuvole a capo fitto, e scendevo, scendevo sempre, e il viaggio non terminava mai. Era un sogno. Ti ho ritrovato; eppure non somigli a quello di prima. Prima mi parlavi, mi baciavi, mi stringevi fra le tue braccia; eravamo in festa tutta la settimana; ora sì, mi vuoi bene, non dico di no, ma sei tutto misteri. Vuoi che aspetti? Sempre aspettare, sempre. Domani, doman l’altro, non ti risolvi mai. T’amo tanto, che mi contento di guardarti, Giovanni, Giovanni. —

Aveva un sorriso pieno di lagrime; la sua voce insinuante, rispettosa, timida, avrebbe rammollito una rupe. Continuò a guardare e tacque per un istante; poi, mutando espres-