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il demonio muto 221

era una piccola reggia tre secoli addietro. I nostri antenati vi godevano le loro orgie, che non invidio: donne, balli, buffoni, cene, le quali non terminavano prima dell’alba e lasciavano uomini e femmine arrotolati per terra. Col vino scorreva qualche volta il sangue. I muri portano ancora, quasi cancellati dal tempo, i nomi ed i motti di qualcuno dei violenti e gaudenti cavalieri. V’è, tra le altre, sotto al disegno rozzo di un cuore trafitto, l’impresa: Dopo il bacio il pugnale.

Così, seduto al fresco ne’ bei giorni d’estate, strappo alle corde i miei vecchi ricordi in questi ultimi anni, che sono i più tranquilli e i più lieti della mia vita. Lascio morire flebilmente le armonie sotto la vòlta della sala, seguendo attentissimo con l’orecchio le ultime oscillazioni, che si dileguano nel brontolìo lontano del Chiese. Poi, sentendomi ringalluzzito, picchio forte su tutte quante le corde e comincio un allegro amoroso, una gavotta saltellante; ma pur troppo la mia mano sinistra ha perduto un poco di agilità, e la mia destra è scemata un poco di vigore. Oggi son più valente negli adagi, nelle ariette patetiche: ai vecchi s’addice meglio il rimpianto.

La mia chitarra ha cinque corde doppie; sale dal la al mi, due ottave e mezzo. È uno strumento ammirabile per la sonorità e l’eleganza. La rosa, intagliata a minuti intrecci e trafori di cerchi, di triangoli, di foglioline, pare un’opera in filigrana. Il manico, intarsiato di