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il demonio muto 225

ragazzi scendono così dai sentieri delle montagne l’un dietro all’altro, pare che un pezzo di bosco si muova, e si pensa — non mi rammento bene, ma qualcosa mi resta nella memoria di spaventoso — a quel re, a cui, dopo la profezia di certe orribili streghe, venne incontro così una foresta minacciante e vendicatrice.

Dalla parte di San Gottardo sai che si va a Bagolino, costeggiando il melanconico Lago d’Idro, passando dalle mura merlate della Rocca d’Anfo e camminando un pezzo sulla stupenda strada, che lascia ben basso il Caffaro, e dai parapetti della quale si vedono i precipizii vertiginosi, dove nella cupezza del fondo le acque del torrente, col rimbalzare da un masso all’altro, col piombare in cascate, col frangersi alle roccie, mostrano il luccichìo della loro spuma. In quelle orridezze si rovesciano spesso uomini e cavalli e, senza che la loro caduta mandi il più lieve romore, vanno a seppellirsi nella gran fossa del monte. La via bellissima è sparsa di panporcini e di croci.

O quante volte son passato su quella strada cantando, con il mio fucile a pietra sulla spalla, la fiaschetta piena di polvere, la ventriera fasciata alla vita e ben provvista di palle e pallini, e la carniera ad armacollo! Avevo con me Lampo e Bigio, oppure Livia e Toti. Non c’è una svolta ch’io non ricordi, nè una cappelletta, nè una pietra migliaria. A