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il demonio muto 227

Prima che avessi agio di pigliarmela col sardonico vecchietto e chiedergli la causa della sua minaccia, egli se l’era prudentemente svignata. Lo cercai tutt’in giro senza poterlo trovare.

Desinai all’osteria del Pavone, e poi, essendo domenica e non avendo sentito messa, m’arrampicai sulle interminabili gradinate della chiesa ed entrai a pregare. Il sole mandava i suoi raggi quasi orizzontalmente dalle finestre della facciata sino all’altar maggiore, gettando su questo la luce infiammata del tramonto e facendo scintillare la custodia dorata del ciborio. La chiesa era deserta. Solo si sentiva un leggiero picchio a intervalli regolari ora di qua ora di là. Una vecchia, tanto curva che il suo mento giungeva appena all’altezza delle panche, passava abbastanza lesta da un altare all’altro, mettendo innanzi ad ogni passo il suo bastoncino, su cui poggiava il peso del corpo cadente. Mentre uscivo, ell’era accanto alla pila dell’acqua santa, le diedi qualche soldo: mi ringraziò tremolando.

Il sole scendeva in quel punto dietro le montagne. Non sapendo come passare il tempo, mi posi a sedere sul parapetto del portico e guardai intorno le chine verdi; ma nell’abbassare lo sguardo, sopra un quadratello di marmo bianco, incassato nelle lastre scure del pavimento, mi parve di vedere il nome della nostra famiglia. Sentii punzecchiarmi