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Ieri nel mio salotto giallo, mentre l’avvocatino Gino, con la voce rauca della passione lungamente repressa, mi susurrava nell’orecchio: — Contessa, abbia compassione di me: mi cacci via, ordini ai servi di non lasciarmi più entrare; ma, in nome di Dio, mi tolga da una incertezza mortale, mi dica se posso o se non posso sperare; — mentre il povero giovane mi si gettava ai piedi, io, ritta, impassibile, mi guardavo nello specchio. Esaminava il mio volto per trovarmi una ruga. La mia fronte, su cui scherzano i riccioletti, è liscia e tersa come quella di una bimba; a’ lati delle mie ampie narici, al di sopra delle mie labbra un po’ grosse e rosse, non si vede una grinza. Non ho mai scoperto un filo bianco ne’ lunghi capelli, i quali, sciolti, cadono in belle onde lucide, neri più dell’inchiostro, sulle mie spalle candide.

Trentanove anni!.... tremo nello scrivere questa orribile cifra.

Diedi un colpetto leggiero con le mie dita