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302 senso

gine del mio amante, quando a Venezia, nella Sirena, pieno di ardore e di gioia, m’aveva stretta per la prima volta fra le sue braccia d’acciaio. Un secondo frastuono mi scosse: sul torace ancora palpitante e bianco più del marmo s’era slanciata una donna bionda, cui schizzavano addosso i zampilli di sangue.

Alla vista di quella femmina turpe si ridestò in me tutto lo sdegno, e con lo sdegno la dignità e la forza. Avevo la coscienza del mio diritto, m’avviai per uscire, tranquilla nell’orgoglio di un difficile dovere compiuto.

Alla soglia del cancello mi sentii strappare il velo dal volto; mi girai e vidi innanzi a me il grugno sporco dell’ufficiale Boemo. Cavò dalla bocca enorme il cannello della sua pipa, e, avvicinando al mio viso il suo mustacchio, mi sputò sulla guancia...


*


L’avevo detto io che l’avvocatino Gino sarebbe tornato. Bastò una riga: Venite, faremo la pace, perchè capitasse a precipizio. Ha piantato quella bamboccia della sua sposa una settimana innanzi al giorno destinato pel matrimonio; e va ripetendo ogni tanto, stringendomi quasi con la vigoria del tenente Remigio: — Livia, sei un angelo! —


fine.