Pagina:Serao - All'erta, sentinella!, Milano, Galli, 1896.djvu/172

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158 terno secco

uscita e rientrata due o tre volte, trascinandosi, sempre più stanca, mormorando contro sè stessa, poichè perdeva la memoria, e per un soldo di prezzemolo le toccava ridiscendere. E mentre sopra un fornellino bolliva il sugo di pomodoro pei maccheroni, sopra un altro, insieme a della pasta di ogni qualità, misura e forma, chiamata monnezzaglia, poichè è il rimasuglio dei grandi cassoni di pasta della Costa, insieme a questa pasta bollivano dei grossi fagiuoli, conditi con acqua, lardo, pepe e prezzemolo: e un mezzo popone giaceva aperto sul tavolino scuro della cucinetta. Quella minestra e quel popone erano il pranzo di Tommasina e di suo marito Francesco, che era guardia di pubblica sicurezza. Difatti, verso l’una, fu bussato alla porta con la mano ed ella andò ad aprire. Francesco era in divisa, inappuntabile col berretto un po’ abbassato sugli occhi.

— Entra — disse lei, vedendolo esitante.

Egli aveva quel fare d’importanza grave, pieno di precauzione, delle guardie: e camminava piano, senza far rumore. Era un giovanotto atticciato, assai rosso di viso, con un naso sottile e adunco che gli guastava la fisionomia: un contadino di Terra di Lavoro che non aveva più voluto ritornare alla zappa, dopo aver fatto il soldato, innamorato della divisa, qualunque ella fosse, abituato a portare il berretto di traverso, abituato alle lunghe mormorazioni contro il rancio, contro la caserma,