Pagina:Serao - All'erta, sentinella!, Milano, Galli, 1896.djvu/267

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trenta per cento 253

minciò verso il tardi, alla fine del pomeriggio, dopo il gran pranzo di magro della vigilia di Natale, che dura dalle due alle cinque. Dopo i vermicelli con l’olio, l’aglio e le acciughe, i napoletani avevano mangiato le anguille e il capitone cucinati in fritto, in arrosto, in fricassea; dopo di che avevano mangiato due o tre insalate, una di broccoli, una di cavoli fiori, una cosidetta di rinforzo, composta di sottaceti; dopo di che avevano mangiato molti dolci, molte frutta, fresche e secche, e bevuto una quantità di rosolio, dopo aver bevuto una quantità di vino; dopo di che, alle cinque, nella strada, nelle piazze, nei vicoli, nei chiassuoli, nei cortili comuni, nei cortili interni cominciò lo spariatorio. Il napoletano adora il fuoco d’artificio, ma più di ogni altro le botte, il gran rumore di bomba che scoppia; la terziola, che saltando scoppia rumorosamente tre volte; il tricche-tracche che scoppietta meno rumorosamente, ma dieci o quindici volte; il fruvolo pazzo, che, lanciato, percorre una curva di fuoco facendo fuggire i viandanti, scompigliando i gruppi di donne; la rotella, che gira, gira, come una rotonda fontanina di fuoco; il fuoco di bengala, che dà la luce rossa, o verde, o azzurra, o violacea, piangendo lagrime di fuoco.

Alle sette pomeridiane Napoli pareva in preda a un fuoco di moschetteria, sulle colline e sul mare, nelle strade aristocratiche e in quelle popolari. Mentre dalle strade si faceva la domanda con le