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14 all’erta, sentinella!

delle rose, qualche cosa luccicava, ma il condannato non lo vedeva, guardava innanzi a sè, felice di quella lunga passeggiata, nella campagna, egli che aveva tanto girato, fra quattro pareti di pietra, come una bestia in gabbia. Solo, a un certo punto, come egli andava, quasi senza curarsi della scorta, udì un lieve movimento fra gli alberi: l’orecchio acuto del prigioniero lo colse, indovinò che fosse: ed egli impallidì, intendendo che era una sentinella, intendendo che quel luccicare era la canna di un fucile. Impallidì mortalmente e crollò il capo, come se gli fosse sfuggita una grande illusione. Forse, un momento, malgrado la catena, malgrado la scorta, ingannato da quel paesaggio campestre, aveva creduto di essere libero: un istante.

Nè più potette rifare questo sogno. Erano giunti a un muro di cinta, a una grande porta di ferro, sbarrata, guardata da una sentinella. L’appuntato mostrò un foglio: la sentinella depose il fucile e andò aprendo tutti i grandi catenacci della porta di ferro: essa si schiuse con un sibilo metallico, si richiuse pesantemente, dietro la scorta e dietro il condannato. Ora si trovavano in una piazzetta, circondata da piccole case a un piano, gli uffici del Regio Bagno Penale di Nisida. L’appuntato, che era pratico, si diresse verso una casa del centro a due piani, questa, ed entrò in un ufficio al pianterreno. Era magramente mobiliato, con due