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20 all’erta, sentinella!

prete, egli si sentì coperto da quella catena, preso, vinto, tutto, sempre, sino alla morte. E la imperante idea della fuga, quella idea che è in fondo a tutte le coscienze, anche dei più disperati, gli sgorgò dall’anima come una preghiera.

Perchè no? Mentre andavano alla cena, nel grande camerone, mentre mangiavano avidamente quelle patate bollite nel pomodoro, prese dal grande mastello nelle scodelle di latta, avidamente, come tante bestie affamate, egli pensava che avrebbe dovuto fuggire, necessariamente, trovare un mezzo, una astuzia, nella notte, e buttarsi giù, nel mare, fuggire. Le vie di Nisida pareano così poco guardate, e il senso dell’altezza gli era sfuggito, in quel primo giorno, tanto che il sogno della fuga gli andava crescendo nella mente, come se non potesse essere difficile a lui giovane e forte, a lui astuto, tentare, con l’audacia e la furberia, la liberazione. Preso dal suo ardente desiderio, mentre passeggiavano, dopo la cena, in un grande cortile, egli andava attorno attorno, trascinando la sua catena, senz’accorgersi della sua furiosa passeggiata, divorato dalla sua visione di fuga. In alto, sul cortile, brillava la molle notte stellata; e lui vi volgeva gli occhi, sentendo più acuta, più folle la smania della libertà.

Suonava il silenzio. Per isquadre, attraversando le deserte vie di Nisida, guardando la campagna dai Bagnoli e Pozzuoli tutta brillante di lumicini,