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delfina | 111 |
E Cecilia rimase rapita, con una luce negli occhi. La cassa era piena, sgombra la tavola, sgombre le sedie, tutto a posto. Pure ella non chiuse subito la cassa, restò a fissare il coperchio, quasi smemorata, quasi cercasse ricordarsi qualche cosa. Girò così, due o tre volte, per la grande sala, frugando con lo sguardo negli angoli oscuri: ritornò e d’un colpo solo abbassò il coperchio, chiuse le serrature con le chiavicine. Le tremarono le mani. Venne verso sua zia, pallida, e con la voce incerta, le disse:
— O zia, o zia, io me ne vado domani!
Nelle braccia l’una dell’altra piansero. Si sciolsero dinanzi alla svelta e leggiadra figura di giovanetta, vestita di lana bianca, che era apparsa alle loro spalle, lasciando il vano del balcone. Restarono un po’ confuse, un po’ mortificate.
— Delfina, tu devi trovare tutto questo supremamente ridicolo — mormorò Cecilia.
No, ella non rispose. Ma alla stanchezza