Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/16

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12 telegrafi dello stato


— Che hai? — chiese Maria.

— Niente, — disse l’altra, con la malinconìa di una voce giovanile, che i singhiozzi hanno velato.

— Sempre Mimì, eh? — insistette Maria, con la sua aria saggia e compassionevole di donnina invulnerabile.

— Sempre.

— Ci perderai la salute, Scarano.

— Così fosse!

— Non dir queste brutte parole. Oh che cattiva cosa è l’amore! Io non ho mai voluto fare all’amore, per questo.

— Già: si dice sempre così, quando non si vuol bene a nessuno. È che Mimi è ammalato, io non posso vederlo e mi sento morire, — scoppiò a dire l’altra, non potendone più.

— Oh poverello, poverello! speriamo che non sia niente, — mormorò Maria, che si contristava subito.

Scendendo per la via di Monteoliveto, erano giunte presso la fontana, Giulietta Scarano assorbita nella desolazione della sua idea amorosa. Maria Vitale crollando il capo sulle miserie umane. Ecco, ella non era una testa forte come Caterina Borrelli, che scriveva continuamente un romanzo in un suo quaderno, grosso grosso: ella non sapeva fare i versi come Pasqualina Morra; ma capiva che l’amore è un grande tormento.

— Non posso vederlo... — ripeteva ancora Giulia Scarano.

— Scrivigli una letterina.

— Gliene ho scritte tre, di quattro foglietti l’una, da ieri, ma non so come mandargliele: mammà ha cac-