Pagina:Serao - Il romanzo della fanciulla, R. Bemporad & figlio, Firenze, 1921.djvu/165

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nella lava 161


tonda, avevano ritrovata la loro amica, Gelsomina Santoro, la creatura bellissima dagli occhioni bigi e dai denti smaglianti, la stupidona per cui gli uomini cominciavano ad ammattire. E nell’andarsene, le due sorelle e l’amica, parlavano dei loro sogni teatrali, del Teatro Nuovo; per l’autunno si sarebbe allestito l’Orfeo all’inferno, una delle sorelle ambiva di fare la parte della Pubblica Opinione, l’altra sperava che le avessero assegnato la parte di Amore, ambedue dovevano cantare una sola strofetta, ma ambedue avrebbero avuto una tunichetta bianca e breve, un costume molto corto, e i due corteggiatori fremevano, presi dalla gelosìa che è nel sangue napoletano: Gelsomina Santoro sognava di essere scritturata al Teatro Italiano di Malta, dove cantano tutte le debuttanti belle e senza voce.

Le ragazze De Pasquale restavano ancora, tutte ridenti e fresche, abituate dal teatro a prolungare la veglia, senza curarsi della stanchezza della madre, vera figura scialba e amabile, di madre nobile da commedia: si poteva discutere ora che quella noiosa musica, sempre la medesima, era finita; a Pasqualino Jacobucci, a Giovanni Laterza; il contino Girace era venuto ad aggiungersi, con la sua aria scettica di giovanotto stanco di piaceri. E una discussione nasceva, sulla pizza, la focaccia tradizionale e popolare napoletana, che Pasqualino Jacobucci disprezzava, avendone preso una indigestione, che Giovanni Laterza ignorava, conoscendo solo lo scagliozzo, una specie di panino gravido di carne fritta e di provatura soffritta, che il contino Girace dichiarava ignobile, mentre la

11 — Il Romanzo della Fanciulla.