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180 nella lava


sopracciglia per qualche cosa di sorprendente che la grossa signora le diceva.

Enrichetta aveva adesso consegnato a Gennarino Mascarpone il suo specchietto verdastro, per la gran figura finale. Una dama sedeva nel centro della sala, tenendo in mano lo specchio e un fazzoletto: uno alla volta i cavalieri venivano a specchiarsi, la dama puliva lo specchio per colui con cui non voleva ballare; dava una spazzatina, come un frego, come una cancellatura; posava lo specchio, per colui con cui voleva ballare. Era la gran scelta finale in cui tutte le simpatie ingenuamente si manifestavano, le dichiarazioni di amore corrisposto, di affetto incipiente, la preferenza dichiarata in pubblico, chiaramente e semplicemente: e i cavalieri facevano gli scettici, non volevano venire a specchiarsi, si lasciavano trascinare. Agli amori conosciuti o sospettati, vi era un lieto mormorìo nell’assemblea, un riso indulgente di tutti, come un incoraggiamento amabile a volersi bene. Ma fu uno stupore profondo, in tutti, quando Eugenia Malagrida che aveva centocinquantamila lire di dote, era grossa, grossa, tozza e lucida, dopo aver dato una spazzatina a tutti i cavalieri, posò lo specchio per Arturo Ajello, il povero impiegato, ritenuto come il fidanzato ufficiale di Enrichetta Caputo. Tutti la guardarono, Enrichetta: ella rideva, nervosamente, il piattello dell’altra stearica si era spezzato.

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Nella cucina, al chiarore fumoso del lume di anticamera, donna Concetta Caputo si lamentava da un quarto d’ora, per tutti i guasti accaduti quella sera,