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204 scuola normale femminile


di storia naturale, che era spesso ammalato e abbastanza buono, malgrado la sua freddezza. Appena entrato, schiuse la finestra: era un igienista.

— Aria, aria, — disse alla decuriona Judicone, — Meglio un po’ di freddo, che respirare aria cattiva. —

E alla classe che restava tutta in piedi, in silenzio, soggiunse:

— Signorine, vi presento la nuova alunna, la signorina Isabella Diaz. Decuriona, assegnatele un posto. —

Se ne uscì, già inquieto e nervoso perchè il professor Radente era in ritardo di dieci minuti, passeggiò nel corridoio, per dirgli qualche cosa, quando veniva. Tutte le ragazze sedettero: in piedi, in mezzo della classe, rimase la personcina nera, sopportando gli sguardi curiosi di trentuno fanciulle. Ora si vedeva bene la fisonomia. Era una faccia piatta, senza linee precise, con un colorito giallastro, dove non si mescolava una sola ombra di rosso; gli occhi erano chiarissimi, le labbra violacee e macchiate dalla febbre, i denti guasti. Ma quello che impressionava era l’assenza totale delle ciglia e delle sopracciglia, non un pelo, non un’ombra; con una brutta e mal fatta parrucca rossastra, che mostrava la tessitura di filo nero nella scriminatiura, che discendeva troppo giù sulla fronte. Qualche atroce malattia aveva dovuto devastare quel cranio e quella faccia. Portava un vestito di lana nera tinto e stinto, un cuffiotto informe di trina nera di cotone, con qualche nastro violetto, non aveva guanti, e serrava fra le mani un vecchio sacchetto di pelle nera, tutto scrostato. Ella era orrenda.