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scuola normale femminile | 225 |
rarla, mancava il tempo, sarebbe stato un disastro. Dolcemente, Judicone gli chiese come si sentisse, gli offrì il berretto di lana per la testa, già un po’ calva: egli soffriva assai, si vedeva, ma si vinceva, neppure il pizzo aveva più quel moto nervoso. Quando chiamò De Sanctis a dire la lezione, costei si alzò, tutta vivace, andò alla lavagna, volle dimostrare il teorema: il professore la interruppe sul principio, dicendole seccamente basta, chiamandone un’altra. Così per la seconda, per la terza, per la quarta: appena egli si accorgeva che la lezione la sapeva, interrompeva l’alunna, la rimandava al posto.
Le altre cominciavano a guardarsi in viso, sgomente: il loro piano innocente falliva, le loro previsioni erano disperse. Quasi quasi desideravano che la chiamata non sapesse la lezione, che incespicasse, che il professore gliela facesse dire tutta, per correggerla: ma che! La classe era in un momento di felicità aritmetica, il professore ascoltava, quasi sorridente, nella consolazione del suo cervello algebrico e del suo cuore di docente. Alle due, quando ancora ci voleva un’ora per finire la lezione e la scuola, tutto era detto; le alunne, esterrefatte, videro alzarsi quel vecchietto tutto contorto dall’artrite, tutto ravvolto nelle sue lane, cavare una mano tutta nodosa e rossa dal guanto, scrivere una lunga formula aritmetica sulla lavagna, udirono una forte pronunzia cilentana che cambiava il d in erre e metteva un gh innanzi a ogni e, enunciare il teorema fondamentale della terza potenza:
— Il cubo di un numero, diviso in due parti, è uguale al cubo della prima parte, doppio prodotto della
15 — Il Romanzo della Fanciulla. |